Le ottimistiche previsioni di chi pensava che i venti tunisini non avrebbero mai avuto sbocco su altri paesi arabi vengono oggi sepolte dai disordini che ieri hanno colpito l’Egitto: Cairo, Alessandria, Tanta, Mansoura, Mahalla: al grido di “Mubarak vattene!” la gente è scesa nelle piazze e nelle strade a manifestare un’insoddisfazione ed un disagio di fronte alla sempre più crescente povertà. E anche questa volta si contano i morti: tre tra i dimostranti ed un agente di polizia, i primi uccisi a Suez e il poliziotto nella zona di Giza.
Una situazione scottante che pone in discussione la tranquillità di tutti quei paesi affacciati sul Mediterraneo – Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Giordania e Libano – che da circa un mese vedono montare rabbia e protesta per la mancanza di lavoro, per il costo del cibo sempre più elevato, per una ricchezza enorme detenuta da pochissimi individui mentre folle enormi non riescono a sfamarsi e, dulcis in fundo, ai sistemi politici che di “democratico” non hanno neppure la parvenza.
Il 17 dicembre, in Tunisia, si da fuoco Mohamed Bouazizi, di 26 anni. E' il segnale dell'inizio. Il 5 gennaio è l'Algeria a protestare per il carovita e la mancanza di lavoro: negli scontri muoiono in tre e si contano oltre 300 feriti; inoltre, sempre per protestare si danno fuoco otto giovani. Il 7 gennaio la protesta per il rincaro degli alimenti si sposta in Marocco, dove scoppiano anche gravi disordini nelle carceri. Il 14 tocca alla Giordania, con una imponente manifestazione ad Amman dove si reclamano prezzi più bassi per i generi alimentari e migliori condizioni di vita. Il 15 si protesta per la mancanza di case in Libia e il 17 è di scena la Mauritania, dove si contano altre torce umane a Nouakchott. Sempre il 17 è un ristoratore a darsi fuoco in Egitto, dove ieri è esplosa la rivolta. E sempre ieri, questa volta in Libano, è esplosa la protesta popolare contro Hezbollah.
Una rivolta globale, come globale è il mezzo che ha consentito a tantissimi giovani di tutti questi paesi di organizzare le manifestazioni di protesta: il web, questo enorme ed invisibile cordone ombelicale capace di unire terre divise da confini militarizzati e rendere vicini popoli colpiti dagli stessi mali. Ieri le autorità egiziane – ma non solo quelle – hanno interrotto ogni forma di comunicazione on-line nel tentativo di meglio controllare i disordini, ma i risultati di questo tentativo non sono risultati sufficienti. Twitter è il protagonista indiscusso di questo scenario, lo strumento di un passaparola inarrestabile, il mezzo con il quale vengono diffuse le strategie.
E c’è da essere sicuri che la protesta si allargherà: in Egitto pare appena iniziata mentre in Tunisia pare mutare forma e dimensione per assumere le vesti di "cervello pensante organizzativo". E’ infatti quello il paese che sta diventando esempio e simbolo per un territorio vastissimo, dove il 60% degli abitanti ha meno di trent’anni e dove fanatismo religioso, culto della guerra e povertà endemica (solo per il popolino, ovvio) creano una miscela più che esplosiva.
Noi, separati da quelle terre da un intero mare, guardiamo a quei fatti con attenzione non sufficiente, soprattutto noi che facciamo turismo. Questa crisi appena iniziata potrebbe essere il segnale d’inizio di un periodo di mutazione politica, del tentativo di conquistare migliori condizioni politiche ed economiche per tanta gente che oggi patisce. E potrebbe anche rappresentare un momentaneo arresto dei lavori in una delle aree più importanti per le vacanze degli italiani.
Sono pochi, infatti, i tour operator che hanno desistito dall’avviare programmazioni su quel Mar Rosso che pare essere l’unico prodotto capace di far numeri, e c’è da sperare che il malumore per ora espresso sulle strade delle principali città non trovi terreno di coltura nelle località dove la pancia dei governanti è più debole e molle, ovvero quelle deputate al divertimento. Non dobbiamo infatti dimenticare gli insegnamenti della storia: quando la protesta della gente – quella più genuina in quanto proveniente dal basso – tende a scemare, si fa avanti una protesta più politica, individualista e temibile, che è quella del terrorismo.